La metró ai tempi del Corona

La metropolitana milanese, cuore della città che lavora, sempre affollata prima della crisi pandemica, non ha mai chiuso; non come a Wuhan dove le 6 linee metropolitane a partire 22 gennaio vengono bloccate e rimangono ferme per oltre due mesi. Nella città di Milano la metrò e gli autobus di linea continuano ad essere frequentati da molte persone che si recano nei posti di lavoro, quasi tutt* durante le ore di punta. Scorrendo i visi dei e delle passegger* si scorge la tensione nei volti, negli sguardi si legge la paura che a volte è rivolta a chi è vicino, forse troppo vicino.

Al capolinea, fermata Bisceglie, salgono in media 30 persone, alle fermate successive una ventina per ogni stazione, ma solo nelle prime 5 fermate, poi, dopo la fermata Gambara non sale quasi più nessun*; entriamo nella parte centrale e più ricca della città e da lì in avanti nessun* necessita della metrò. Sui treni prima del corona la gente non si parlava quasi mai, ora su questo argomento con molt* è possibile rompere il ghiaccio, dirsi ciò che si pensa e questo accade anche altrove.

Penso che qualcun* di loro si chieda “ma perché io non resto a casa?”. Altri ed altre sono lavorat* delle filiere necessarie, molti e molte di loro sono immigrat*, immagino che forse sono addett* alle sanificazioni degli ambienti, oppure sono lavoratori e lavoratrici delle case di cura e dei supermercati, magari sono operatori della sanità pubblica. Quasi sicuramente sono persone che non possono permettersi il lusso di mantenere una automobile e forse in qualche raro caso credo che ci sia anche qualcun* che non vuole avere l’auto per sua personale scelta.

La metrò nei giorni di Marzo non è certamente piena ma nemmeno così vuota: la maggior parte indossa le mascherine, ma c’è anche chi non le porta, oppure le tiene con il naso esposto, oppure le abbassa temporaneamente. Forse quasi nessuno conosce la pericolosità del virus nei luoghi chiusi, forse però la intuisce. Quasi nessuno probabilmente ha saputo degli studi compiuti da alcuni ricercatori cinesi, reso noto nei primi giorni marzo e pubblicato sulla rivista South China Moring Post, studio basato sull’analisi di riprese video fatte su un autobus, amplificato in seguito dalla stampa internazionale e dopo inspiegabilmente ritirato dagli stessi ricercatori.

Tale “parere scientifico” è stato confermato poco prima di Pasqua anche da ricercatori europei e dalla stessa OMS: la tesi sostiene che il virus nei luoghi chiusi può diffondersi fino a 4/5 metri di distanza e permane nell’aria, aiutato dalla presenza delle micro-polveri a cui si lega, forse può restare anche in circolazione nell’aria per diversi minuti, ne consegue che la misura della distanza di sicurezza di un metro tanto decantata dal nostro ed altri governi va a farsi benedire.

Differente è il discorso negli spazi all’aperto dove il coronavirus, come tutti i virus, per effetto della dispersione ambientale, vede la sua carica virale depotenziarsi molto velocemente con rischio d’infezione vicino o pari allo zero, fatte salvo le dovute distanze di sicurezza.

Un contagio i cui numeri sono snocciolati ogni giorno dalla TV, con apparente precisione scientifica, TV che incessantemente martella le teste della gente da oltre un mese parlando quasi esclusivamente di questo argomento, televisione che si rivendica attualmente come la depositaria di una informazione corretta.

Proviamo allora a fare una riflessione relativa a tali numeri: la TV e i giornali ci dicono che il numero complessivo delle e dei positiv* a livello nazionale o per regione è determinato dai tamponi effettuati e varia a seconda dei tamponi fatti in un giorno, i quali sono somministrati in numeri variabili, più tamponi vengono fatti e più cresce il numero di positiv* e viceversa, manca dentro questo parziale computo la gran parte della popolazione che non è stata ancora testata.

In uno dei pochi ospedali Lombardi dove alcuni giorni fa stavano applicando il tampone a tappeto sul personale il test è stato interrotto quasi subito, dato che risultavano essere tutt* positiv*: naturalmente applicando lo stesso criterio in un altro contesto si potrebbe raggiungere un risultato diametralmente opposto.

Trapela da varie testimonianze sui social che la cifra reale è molto più alta di quanto ci dice la TV, sia riguardo i positivi che per il numero dei deceduti, trapela semprre in TV che in Lombardia almeno un anziano su cinque nelle case di riposo sarebbe deceduto senza essere ricoverato.

C’è dunque un uso distorto dell’informazione manovrato da parte dalla politica che piega le curve del contagio a suo piacimento: sulla base di questo ragionamento si fa presto ad immaginare che il contagio ufficiale potrebbe essere ridotto da questi numeri ai minimi termini in nome della ripresa delle attività produttive del paese.

Va detto poi che nell’informazione ufficiale è quasi sempre assente la notizia dei luoghi in cui avviene il contagio. Quali sono questi luoghi dove ci si ammala? Alcuni sono ormai ben noti, come le RSA dove le stragi degli anziani hanno destato tanto scalpore da rompere il silenzio, è noto ma mai declinato nei particolari il contagio degli operatori e dei pazienti che avviene dentro gli ospedali, dove puoi entrare con una gamba rotta ed uscire con il Covid.

Il numero dei morti ufficiali al momento è di oltre 150 medici ma è appunto relativo solo ai medici non alle altre figure professionali di cui si hanno poche notizie, come per gli e le infermieri/e, gli e le addett* alla sanificazione ecc.

La gestione disastrosa della pandemia (come dimostrato anche uno studio della università di Harvard), compiuta in particolare dai governatori della Lombardia, presenta come dato ufficiale a livello nazionale tra gli operatori sanitari un numero al momento in cui scrivo ormai vicino alle 15.000 unità, contagio sempre calcolato in termini ufficiali, senza una mappatura globale e la gran parte di essi sono situati in Lombardia.

Questa situazione provocata dalla scelta volontaria e scellerata dei governatori Lombardi di non effettuare il tampone a tappeto fin da subito ma nemmeno di farlo ora, quando forse è ormai troppo tardi: la normativa regionale valida a tutt’oggi prevede che gli operatori sanitari non usufruiscano del tampone fino a quando non superino i 37.5 gradi di temperatura corporea, con sanitari trasformati così facendo in non consapevoli untori. La Regione Lombardia era stata preavvisata dal governo centrale già alla fine di gennaio di predisporre scorte di materiale di protezione, mascherine, guanti, camici monouso per gli operatori sanitari, appello ignorato dai governatori lombardi.

Una sanità pubblica arrivata alla gestione della pandemia con una struttura molto indebolita dai numerosi tagli degli anni precedenti, in parte dovuti alle leggi finanziarie dei diversi governi centrali, denari erogati dai governi alle regioni ed ulteriormente drenati in gran parte verso la sanità privata. Tagli ma non solo: non dimentichiamo le ruberie di Formigoni e company e le lottizzazioni della giunta odierna dove i direttori degli ospedali sono di emanazione diretta della lega e di Comunione e Liberazione.

In molti ospedali lombardi è un fatto ormai tragicamente noto che il respiratore non viene dato o viene staccato a chi ha più di 65 anni in caso di carenza di tale apparato, in favore della sopravvivenza dei più giovani e che i ricoveri dei malati Covid avvengano dopo aver abbassato la soglia di saturazione dell’ossigeno di ben 10 punti per la precisione da 94 a 84 ovvero quando la situazione del malat* è già critica.

Nascosto dal silenzio quasi assoluto dei media è il contagio nelle aziende, dove il virus pare abbia la sua prima origine, nei luoghi della produzione, probabilmente partito dall’industria tessile della bergamasca dove frequenti erano e sono ancora ininterrotti i contatti del personale tecnico con la Cina, contagio partito dalle aziende per poi diffondersi al resto della società, preso da lavorat* con sintomi lievi e portato nelle case ai familiari ed agli anziani, diffusosi capillarmente in molti luoghi di lavoro, favorito dalle massicce e continuative attività umane che lì si espletano.

Contagio entrato in profondità dentro il cuore dell’economia, cuore che il padronato non ha voluto mai fermare, così come in buona parte è riuscito a fare anche dopo il decreto del governo Conte del 22 Marzo, decreto subito avvallato dai sindacati confederali nel cui testo è contenuta una deroga che consente attraverso una domanda da parte delle imprese di continuare le attività produttive anche per aziende non legate alle filiere considerate necessarie, decreto dove la pressione di Confindustria ha giocato un ruolo determinante: in tal modo tra le altre anche l’industria delle armi ha continuato a funzionare.

Aziende che venivano bloccate in molti casi solo grazie agli scioperi del personale dipendente che non accettava di dare la vita per non far crollare il PIL. Luoghi di lavoro dove le organizzazioni sindacali di base alcune R.S.U. ed i lavorat* denunciavano l’inesistenza o la quasi totale assenza delle misure minime di protezione o l’impossibilità di mantenere la distanza.

Ancora peggio, il contagio è arrivato nelle carceri sovraffollate dove i detenuti sono costretti a vivere anche in 8 in una cella e le mascherine non le hanno nemmeno i secondini, carceri che hanno vissuto una gigantesca rivolta dovuta a tale condizione di disperazione, rivolta repressa con pestaggi di massa e costata la vita a ben 14 detenuti, deceduti in circostanze ancora da chiarire.

Sono stati accertati molti contagi anche all’interno dei nei nuclei familiari, che si verificano quando giunge un positivo in casa e dove quasi sempre anche tutt* i conviventi si ammalano. Molti poi sono i comuni (i cui sindaci essendo per legge i responsabili per la tutela della salute pubblica) a non aver requisito e predisposto luoghi di isolamento per i positivi al Covid. Comuni, dove la medicina sul territorio non esisteva più già da prima del coronavirus e dove il medico di famiglia non è stato messo in grado di intervenire sulle persone con sospetto Covid, persone confinate a domicilio che non hanno la possibilità di essere visitate a casa e si devono accontentare di una consulenza medica telefonica. Malati in case che in alcuni casi sono trasformate in vere e proprie bombe-Covid, non ricevendo alcun esame od indicazione medica rispetto alla guarigione e rimandando tale valutazione alle stesse persone con sospetto Covid.

Aggiungiamo a questi anche tutti quei luoghi chiusi che sono sempre rimasti invece aperti e sono utilizzati da tutt*: le farmacie, i supermercati e per l’appunto i mezzi pubblici, luoghi in cui si hanno certezze relative di contagio rispetto al personale che vi lavora ma non rispetto all’utenza che li frequenta. Certamente non è cosa dimostrabile che i contagi avvengono per i frequentatori di tali luoghi, così come non è dimostrabile l’avvenuto contagio su una metropolitana o su di un bus.

Tra i tanti errori disastrosi delle istituzioni da menzionare anche quello di ATM del comune di Milano i quali annunciano il 15 marzo che, a partire dal giorno successivo, sarebbero state ridotte le corse del 40% in tutti gli orari su tutte le linee, così gli ignari passeggeri si ritrovano nei giorni successivi 16 e 17 marzo in assembramento sulla metrò, metrò piena come nei giorni prima della crisi; poi giunge nel giorno successivo il ripristino delle corse negli orari di punta, ripristino arrivato insieme alle ennesime scuse del comune – altre scuse dopo quelle fatte per l’invito ai fatto ai Milanesi a recarsi sui navigli al grido di “riapriamo Milano”, scuse che andrebbero rinviate al mittente ipotizzando, perché no, un contagio di massa ed un disastro colposo da mettere in relazione all’impennata di persone ammalatesi in città nelle settimane successive. Contagi naturalmente sempre imputati dai media impropriamente invece a “chi va troppo a spasso”ed ai runners.

Siamo così arrivati al giorno successivo alla Pasqua – quello in cui è stato deciso che molte attività produttive potevano riprendere a funzionare – un lavorator* su due è tornato ad occupare il suo posto, il traffico delle auto è in buona parte ripreso, i parcheggi sono tornati a riempirsi; è stata inclusa nella ripresa, tra le molte attività, anche quella della caccia alle specie selvatiche – si, avete capito bene, proprio la caccia.

Così la metrò torna piano piano a riempirsi e chissà forse a bordo c’è anche qualche cacciatore diretto verso le zone boschive dopo il capolinea di Gessate che, magari, non ha fatto in tempo a riparare il suo SUV per l’assenza prolungata dei meccanici ma, nel frattempo, il virus non si è fermato e continua la sua corsa.

Un sistema, quello capitalista, che come la metropolitana milanese è incapace di arrestarsi ma certamente è capace di assolversi, come dimostra il tentativo non riuscito, fatto da tutti i partiti parlamentari di includere nel decreto Cura Italia un emendamento che eliminava ogni responsabilità penale civile e di rivalsa per le istituzioni locali, per i direttori degli ospedali, per tutti i responsabili della mala gestione durante la crisi. Aspettiamoci senza illusioni il fatto che vorranno far pagare questa crisi ai più poveri, magari anche imponendo nuove forme di controllo sociale capillare attraverso le tecnologie digitali, cosa di cui già si parla.

Un virus che ha cambiato il modo di vivere ed apre una nuova fase della storia in cui tutto non sarà più come prima, inclusa in ciò la possibilità auspicata e da stimolare di poter avanzare verso una nuova coscienza dei popoli e de* sfruttat*.

Un sistema che antepone il profitto di pochi alla vita dei moltx* e, per questa ragione, durante questa crisi ha dimostrato in modo eclatante il suo fallimento, un fallimento che è insito nella sua struttura gerarchica, il tutto imbrogliando e prendendo in giro la popolazione. Un fallimento dovuto in primis al suo modo di produzione basato sullo sfruttamento tra umani, sull’accumulo delle ricchezze, su un modello di consumo sfrenato, sul saccheggio delle risorse naturali.

La causa prima dei virus, non solo di questo ma anche dei precedenti, è principalmente dovuta all’impatto ambientale devastante che il sistema capitalista ha sul pianeta: in questo caso il virus nasce dal sistema di produzione massiva della carne in Cina, favorito poi dalla globalizzazione degli spostamenti umani dovuti alle esigenze del commercio e della produzione. Anche in altri casi è accaduto: ad esempio la pandemia della spagnola del 1919-20 nacque in un allevamento di bovini negli USA, proprio dopo i flussi umani più lenti ma già significativi dovuti e successivi alla prima guerra mondiale.

In altri casi potrebbe essere provocato dello scioglimento dei ghiacciai od anche essere il prodotto della deforestazione in atto, la quale costringendo animali a cambiare habitat li fa entrare in stretto contatto con gli esseri umani provocando ciò che viene chiamato il salto di specie e, perché no, non è nemmeno da escludere ciò che oggi il delirio complottista torna a ripetere ma che un giorno qualche folle tra i folli già presenti nel conclave dei potenti potrebbe invece mettere in atto.

Dunque questa pandemia non è la prima e non sarà certo l’ultima: fino a quando il responsabile massimo di essa, cioè il modo di produzione e consumo impostoci dal sistema capitalista, non sarà eliminato per sempre questo tipo di scenario è destinato a ripetersi e potrà terminare solo quando terminerà questo stile di vita e questo tipo di società. Se il grande padre di tutte le pandemie contemporanee, il capitalismo, non verrà sostituito da nuove forme sociali vincolate da uno sviluppo armonico e non dominante nella relazione tra esseri umani, come con il mondo naturale che ci circonda e del quale sistema l’umanità è soltanto una parte, saremo destinati all’annientamento della specie mentre il pianeta probabilmente riuscirà a sopravvivere.

Un mondo nuovo da costruire dove i diritti come quello della salute siano cosa di tutt*, un luogo forse non perfetto dove entreranno anche tutti i limiti e le contraddizioni che una umanità liberata dal grande padre potrà avere, in cui ripensare forse anche a che cosa bisogna perdere ed a che cosa potremo invece di meglio guadagnare, ma è questa, solo questa, l’unica possibilità che ancora una volta la metropolitana della storia oggi ci offre.

Alessandro F.A.M.

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